I mille del ponte

I Mille del Ponte è una narrazione civile, il racconto di un episodio che appartiene alla nostra storia recente – la storia della caduta del ponte Morandi quindi della sua rinascita, col nome di Ponte San Giorgio, quella dei suoi protagonisti e le sue circostanze politiche – dalle implicazioni universali. Una narrazione trattata in forma di teatro musicale, un genere che da sempre mi è congegnale. Il mio contributo in veste di regista e di drammaturgo a questo testo è quello del riadattamento drammaturgico e della messa in scena, ovvero della sua definitiva trasformazione da recital di teatro canzone a vera e propria opera teatrale.

Sarà una storia fatta di volti, uno spettacolo che vuole agli stessi genovesi raccontare chi sono, il senso del loro essere Comunità, un racconto vibrante nelle corde di un’emozione che vuole parlare di persone, in un tempo come il nostro dove le persone non sono importanti che, con il loro impegno, fanno la Storia e di chi la Storia l’ha subita perché il Potere lo ha ingannato. Questo racconto mi appassiona, lavorandoci come una finestra che si apre su di un’Italia che riflette su sé stessa, sulle sue radici, sulla sua storia, per affrontare le sfide del futuro.

È la prima volta che collaboro con l’autore, Massimiliano Lussana, ma conosco Mario Incudine dai tempi della sua interpretazione nelle Supplici, per la regia di Moni Ovadia, al Teatro di Siracusa. Sue sono le musiche di Una stanza tutta per sé, lo spettacolo sulla figura di Virginia Woolf che abbiamo presentato in prima assoluta al Campania Teatro Festival nel 2021. Di lui mi colpisce da sempre la grande fantasia creativa. L’efficace racconto di Massimiliano Lussana, da un’idea di Pietrangelo Buttafuoco parte dalla ricostruzione del ponte, che simboleggia il tentativo di rimarginare la ferita di una città e di risarcirla da una perdita colossale. Ad esso s’intreccia la storia dei mille (e più) lavoratori e professionisti che l’hanno ricostruito. Ma anche quella dei “Mille” che, nell’Ottocento, sono partiti da Quarto per raggiungere la Sicilia; quindi, sullo sfondo, la storia di un altro ponte – reale e metaforico – che non riusciamo nonostante tutto a costruire, quello tra l’Italia continentale e la Sicilia.

Nella messa in scena, queste due entità trovano nuovi punti di contatto che metteranno a confronto le sfide che questi due gruppi di mille hanno affrontato, parabole distinte ma accomunate dalla capacità di ritrarre un’Italia che cerca di fare bene, che cerca di reagire, di trovare le strade per dare forma alla propria creatività, alla propria intelligenza, alla propria idea di sistema paese. In controluce, però, le loro storie riveleranno anche i fallimenti, le promesse non mantenute, le azioni che avrebbero dovuto costruire un paese ma non l’hanno fatto di cui è fatta la storia della nostra Italia: una democrazia molto fragile, ma anche molto forte, come dice il Presidente Mattarella; un paese contradditorio.

La messa in scena rafforzerà così la connessione tra momenti storici differenti, nel tentativo di cercare di fare emergere quali sono i fili rossi che uniscono la storia di questo paese e che ne spiegano le contraddizioni, anche per invitare ad una maggiore comprensione di chi siamo e di come poterci posizionare più efficacemente in un contesto internazionale.

Ribadendo il tema della ricostruzione, rendendo la sua storia emblematica, lo spettacolo vorrà porre alcuni quesiti. Certamente la ricostruzione del ponte è un avvenimento eccezionale, per la velocità e l’efficienza con cui è avvenuta, e soprattutto per la capacità che ha espresso di sopperire subito al bisogno di una città di curare una ferita troppo profonda e aperta, troppo lacerante, cui bisognava rispondere con l’esempio di un buon governo, inteso come intera comunità, che si è ritrovata e si è pensata come un intero mosso ad agire dai medesimi obiettivi. Ma serpeggiano lungo l’intero racconto alcune domande irrisolte: perché l’Italia si sente comunità solo quando vi è costretta, quando succede qualcosa di tragico, come nel caso dei terremoti in Umbria, a L’Aquila, o quando si parla di Meridione; perché non iniziare proprio dal Sud a vedere tutti coloro che tutti i giorni ricostruiscono “ponti di luce”, che combattono le proprie battaglie, per fare bene. Perché il ponte di Messina non è mai stato costruito?

Nella colonna sonora, d’ispirazione popolare, com’è popolare la canzone per cui Genova è famosa in tutto il mondo, alcuni titoli che compongono il repertorio di “canzoni della nostra vita”: “La storia siamo noi”, per esempio, qui si palesa in tutta la sua verità. E nella narrazione teatrale, si passerà spesso, brechtianamente, dalla parola detta alla parola cantata, che dice ciò che la parola detta non può dire.

E poi c’è l’immagine straordinaria del costruire ponti, non solo fisici ma anche immaginari, tra persone e individui, come ha dimostrato Renzo Piano: è un mestiere. In scena, un tavolo da progettista rappresenta l’annunciazione di quello che bisognerà fare. Anche la nave dei mille apparirà sotto forma di modellino anche perché il ponte S. Giorgio, di fatto, è stato costruito come una nave, all’incavo di una nave, come la nave dei mille.

Il racconto originario è molto chiaro; il racconto teatrale sarà più ellittico; la grammatica cambia. Se testo di teatro civile è tutto ciò che racconta frammenti della memoria di un paese, che racconta momenti che rischiano di restare cronaca, ma che è invece bene ricordare, fare assurgere ad exemplum, I Mille del ponte è un esempio di teatro civile. Quando coloro che hanno vissuto questa tragica esperienza non ci saranno più, il testo resterà e la racconterà, assieme ai valori e alle storie delle persone, alle generazioni future. Con il teatro.